Remo Bodei convoca quelle prospettive che prendono le cose dal loro dorso, cercando di coglierle nel loro rapporto con la cultura e la coscienza. Bodei ci mostra come si possa restituire agli oggetti la loro qualità di “cose”, ossia l’insieme degli investimenti affettivi, concettuali e simbolici che individui e società vi ripongono.
Tra le categorie di “degradazione” degli oggetti, le più durevoli ed efficaci sembrerebbero quelle di idolo e feticcio, già espressione di dominio coloniale e religioso e presenti anche nella categoria di “feticismo delle merci” coniata da Karl Marx ne Il Capitale, presentato da Diego Fusaro.
Nel campo degli studi antropologici e comparativi, Marino Niola focalizza la sua attenzione sul tema della potenza degli oggetti –di culto, d’arte o hi-tech– rivelando il loro carattere di maschera.
Le cose suscitano passioni, posizionando così il tema anche nel campo delle teorie morali. Così lo storico dell’arte Krzysztof Pomian, ricostruisce la logica del collezionismo e il modo in cui gli oggetti da collezione rendono visibile l’invisibile delle relazioni sociali.
Nel grande cantiere sociologico che legge nelle pratiche quotidiane connesse ai beni di consumo non solo meccanismi di omologazione e di reificazione, ma anche strategie di riconoscimento e processi di intensificazione del sé, Zygmunt Bauman dedica la sua lezione alla trasformazione culturale che segna l’ingresso in una società dove non solo le merci, ma anche le identità, sono consumabili.